La SCRITTURA VIVENTE 1976

Nel lavoro Alfabetiere murale a fare da supporto, anzi a trasformarsi nei segni alfabetici di una scrittura vivente, è il corpo, il mio corpo, privo di qualsiasi connotazione sociale. Più di prima, questa volta si tratta di una scrittura in-scritta, scritta direttamente col corpo che, affrancandosi dalla tirannia del segno, diventa esso stesso segno. Si tratta di un segno-gesto che tenta di conferire alla scrittura un senso più globale, una fisicità più concreta e nello stesso tempo una polivalenza di significati da opporre a ogni specializzazione riduttiva.

Per la mia scrittura vivente mi sono avvalsa dell'esperienza fotografica di Verita Monselles ed insieme, come in un pellegrinaggio, abbiamo portato in giro da Bari a Padova i nostri lavori: le mie “Litanie Lauretane” ed il suo “Ecce Homo”.

I nostri discorsi naturalmente erano diversi come gli strumenti linguistici, ma un punto in comune emerse dalla nostra proposta: intanto i nostri lavori muovevano dalla nostra comune condizione di donna, dalla constatazione della nostra tradizionale emarginazione, ma anche dalla nostra volontà di capovolgere questa condizione, di mutarne il segno dal meno al più. Lo strumento impiegato? L'ironia e la metafora. Il termine di riferimento contro il quale lottavamo? La prevaricazione maschilista e le forme molteplici (le maschere) dietro le quali quella prevaricazione si nascondeva e si nasconde! Tra queste forme individuammo quelle con alle loro spalle una lunghissima storia e come tali ci apparvero tanto più forti e oppressive: i simboli non del sacro ma certamente di una religione impiegata come instrumentum regni, e perciò più insidiosi: la Croce e la Mater che dettero un senso al nostro lavoro di quegli anni e a presentarci insieme nelle mostre.

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